Articolo: L’orientamento omosessuale è un problema psicologico?

L’orientamento omosessuale è un problema psicologico?

Intendere l’orientamento sessuale come caratteristica intrinseca dell’individuo  appare limitante  e spesso, fuorviante, se si vuole arrivare ad una  comprensione o una discussione dialettica dei problemi e delle controversie legate a questo tema . A seconda delle epoche storiche, delle aree geografiche, degli ordini culturali, politici e religiosi delle comunità di riferimento, la condizione omosessuale è sempre stata connotata in modi radicalmente differenti; per fare alcuni esempi si può citare il valore educativo della pederastia nell’antica Grecia oppure la convenienza di assetti familiari non eterosessuali per far fronte a peculiari contingenze economiche in alcune comunità rurali.

La psichiatria stessa ha avuto modo di esprimersi sull’argomento dell’omosessualità, che in passato è stata considerata una deviazione dal comportamento sessuale “normale”.  Se nel 1935 Freud scriveva “[L’omosessualità] non è un vizio, una degradazione e neppure può essere definita una malattia; noi la consideriamo come una deviazione delle funzioni sessuali, provocata da un certo blocco dello sviluppo sessuale”, successivamente le riedizioni aggiornate del DSM (il Manuale Statistico dei Disturbi Mentali, a cui la comunità medico-scientifica fa riferimento)  ne hanno di volta in volta ridimensionato la connotazione patologica, fino alla cancellazione dell’omosessualità dalle categorie dei disturbi del comportamento sessuale. Bisogna sottolineare come un simile esito non sia stato semplicemente il frutto delle  ricerche scientifiche. Infatti, in questo caso, sono state decisive le forti pressioni sociali e politiche esercitate dai militanti omosessuali sulla comunità scientifica riconosciuta e sugli specialisti. Sono stati proprio gli attivisti a rivendicare, insieme ai diritti civili, l’eliminazione della loro condizione dagli elenchi dei disturbi psichiatrici.

Dal 1974 l’Associazione Psichiatrica Americana e dal 1990 l’Organizzazione Mondiale della Sanità non considerano l’omosessualità una patologia, bensì una variante del comportamento sessuale umano, escludendo che l’eterosessualità possa essere considerata a priori come indicatore di una maggior salute mentale o maturità. Inoltre, attualmente, l’intervento psicoterapeutico svolto con lo scopo di cambiare l’orientamento sessuale è considerato deontologicamente sbagliato anche se è la stessa persona a chiederlo.

Se mai vi è una problematicità rispetto all’orientamento omosessuale essa non va considerata intrinseca alla persona, la quale è inserita in un contesto  di realtà e di relazioni, in una pluralità di ambienti fisici e sociali, che ne influenzano il funzionamento psicologico e sono a loro volta influenzate da esso. Quelli che possono essere aspetti problematici o patologici non necessariamente vanno considerati come risultato di un’intrinseca difettualità della personalità o dello sviluppo, bensì possono essersi costruiti come reazione all’esposizione e all’interiorizzazione della svalutazione sociale da parte dei genitori, dei pari o del pensiero comune, con conseguenti sentimenti di distimia, conflittualità, ambivalenza e stress, associati a fenomeni di disadattamento e svalorizzazione della salute personale. L’esperienza clinica di molti specialisti, supportata dall’immagine, pur semplicistica e spettacolarizzante, data dai media attraverso la cronaca, constata che frequentemente, per molti adolescenti che si scoprono gay o lesbica, le condizioni contestuali non sono semplici (l’ambiente familiare può essere intollerante, mentre l’assetto scolastico-lavorativo e il gruppo amicale possono rivelarsi ghettizzanti).

Recentemente si fa sempre più spesso ricorso al concetto di Omofobia, intesa come forte reazione di ansietà o disgusto che il singolo o i gruppi, a tutti i livelli sociali e di potere, provano e manifestano nei confronti delle persone omosessuali, fino a porre in atto reali discriminazioni  e manovre che ostacolano le formazione di un ambiente supportivo. I pregiudizi diffusi e le disparità sociali, inoltre, mettono a dura prova la possibilità di una esplicazione dei diritti di cittadinanza da parte degli omosessuali. In molti si trovano a constatare di non avere un equo accesso alle risorse o di essere trattati in modo  meno favorevole dalla gente, nonché dalle stesse istituzioni, per il proprio orientamento. Percezioni, più o meno accurate, di questo tipo fomentano nell’omosessuale un’ulteriore aspettativa di discriminazione che agisce alla stregua di una profezia che si autoavvera,  danneggiandolo in modo sottile e non quantificabile (per esempio il timore di visibilità può scoraggiare alcuni ad intraprendere una certa carriera o ad accantonare aspirazioni ed ambizioni personali). L’insieme delle condizioni penalizzanti che contribuiscono ad una rappresentazione sociale dell’omosessualità ha esortato i rappresentanti di questa espressione reale di vita a vivere nella clandestinità,  poiché percepiti in qualche modo come individui sgraditi alla collettività.

Pur considerando che i progressi culturali compiuti dai movimenti di liberazione e dalle scienze mediche abbiano contribuito a rendere complessivamente più benevolo che in passato l’atteggiamento generale,  accade che adolescenti gay o lesbiche apprendano ed introiettino i significati negativi dell’omosessualità, mutuandoli dal contesto sociale e dalle connotazioni date dagli adulti di riferimento. Questi pregiudizi, appesantiti talvolta da convinzioni religiose, vengono incorporati nell’immagine di sé determinando spesso un senso di disagio, colpevolezza e immoralità.  Il sentimento omofobico viene così interiorizzato e frequentemente si manifestano come indicatori di disagio dei veri e propri sintomi. Possono prendere forma di  blocchi emotivi, azioni di autosabotaggio, sviluppo di forti sentimenti aggressivi anti-omosessuali, bisogno di mostrarsi amabili e accondiscendenti per essere accettati e riparare a presunte manchevolezze interiori, tolleranza della discriminazione fino a giustificarla o provocarla, azioni fortemente auto-eteroaggressive, interazioni sessuali anonime con rischio di malattie o di violenza, ricorso allo stordimento per non ricordare atti indesiderabili.

I giovani omosessuali individuati con minor disagio sono quelli che riescono a ricostruire un concetto di sé senza affidarsi alle possibili valutazioni esterne negative, ma ricercando una nuova dimensione soggettiva e interpersonale libera da falsificazioni e rivolta all’apertura e alla visibilità. Determinante per questo esito è l’idea della famiglia  in merito alla questione, cioè  se l’adolescente può contare, oppure no, su una buona identificazione e sul supporto familiare.