Articolo: il COMING OUT come percorso di apprendimento, su di sé e sulle relazioni.

Il Coming out come percorso di apprendimento, su di sé e sulle relazioni.

Per ragioni di chiarezza bisogna specificare che non tutte le persone che hanno avuto uno o più rapporti sessuali con persone dello stesso sesso possono essere definite omosessuali: alcune perché vivono esclusivamente l’atto sessuale fine a se stesso, altri perché bisessuali o magari potenziali omosessuali, che per i più diversi motivi si limitano esclusivamente al rapporto sessuale senza altre implicazioni. Si definiscono invece omosessuali coloro che vivono volontariamente e in maniera più o meno visibile la loro omosessualità senza nascondere la propria scelta, che hanno costruito un immagine di sé anche in quanto omosessuali, che hanno accettato positivamente questo aspetto della loro vita: tutti coloro che hanno fatto un individuale percorso di coming out.

La parola inglese “Coming out” significa letteralmente “uscire fuori”, inteso non solo come uscire allo scoperto e dichiarare ad altre persone il proprio orientamento sessuale, che non è caratteristica chiaramente riconoscibile dall’esterno; in realtà esso è un processo, una sequenza temporale di avvenimenti, pensieri, esperienze, scoperte e rivelazioni su se stessi che si susseguono e permettono ad una persona che non sa chi, cosa e come è, di riconoscersi come omosessuale, di accettarsi in quanto tale, di piacersi di più e diventare quindi forse una persona più felice, realizzata e dotata di un’identità personale strutturata. Il coming out non si esaurisce in un unico episodio, trattandosi bensì di un percorso di svelamento che si delinea e costruisce di volta in volta in base alla qualità e all’esito di singoli momenti e che investe tutta la vita della persona nella sfera sociale, pubblica e affettiva. Si può ipotizzare che tale processo si giustifichi nella necessità di mediare, dal momento in cui ci si rende conto delle proprie preferenze,  tra una possibilità esistenziale inattesa e sgradita (poiché la società tende a connotarla negativamente) e l’aspirazione ad avere comunque un’idea di sé positiva. Comprendere ed ammettere la propria omosessualità comporta alla persona protagonista una ridefinizione sostanziale del proprio contesto mentale interno, alla luce di nuove premesse; di conseguenza cambia anche il modo in cui l’individuo interagisce col resto del mondo.

In letteratura si trovano diversi studi che definiscono un modello delle fasi del coming out, qui proponiamo una rielaborazione che si rifà in particolar modo ai modello  in sei stadi di Cass (1979, in Del Favero, Palomba, 1996).

1)  Fase del PRE-COMING OUT

Corrisponde in genere all’adolescenza ed è caratterizzato da indefinite ambigue attrazioni verso persone del proprio sesso, oltre che da sentimenti  di distanza dagli altri e da paura della diversità sociale.

2) Fase della CONFUSIONE

Spesso tale disorientamento non viene  direttamente connesso all’omosessualità. Sono frequenti delle ambivalenze negli atteggiamenti, una certa difficoltà a riconoscere i sentimenti omoerotici, paure, ansie e domande rispetto all’individuazione di un’immagine positiva di riferimento gay/lesbica. In questa fase, in cui ci si sente alienati dagli altri, si può ricorrere ad agiti quali l’abuso di sostanze chimiche (alcool, droghe, ecc.), negando, razionalizzando o limitando la propria consapevolezza.

3)   Fase dell’ESPLORAZIONE

Tollerando la probabile nuova identità  si comincia a frequentare la comunità e la sottocultura gay/lesbica, sperimentando la sessualità con lo stesso sesso. La ricerca di informazioni e di condivisione con altri favoriscono un processo di separazione dalla famiglia e dal gruppo di pari (amici, compagni di scuola) nonché la creazione di una nuova identità personale e sociale. Parte da qui un’esplorazione concreta  della propria capacità di autodichiararsi e dei potenziali rifiuti e problemi con l’esterno (realtà sociale, mondo scolastico, ambiente lavorativo, famiglia).

4)   Fase dell’ACCETTAZIONE

Affievolendosi i disagi rispetto all’identità e alla situazione di “doppia vita” si intensifica il bisogno di autodichiararsi. La propria condizione comincia ad essere vissuta in modo gratificante con la ricerca di una relazione di intimità.

5)   Fase dell’ORGOGLIO

Non vi è solo l’accettazione, ma una vera e propria preferenza della nuova identità. Riemergono tutte le sensazioni negative vissute nel passato e come per reazione ad esse ci si attiva per “riscattarsi” da esse, attraverso un posizionamento della propria autoimmagine esclusivamente centrato sull’identificazione e sulla sottocultura gay-lesbica, limitando la rilevanza di altri aspetti di sè.

6)   Fase dell’INTEGRAZIONE

Caratterizzata dal progressivo rientro della “reazione” precedente, che permette il formarsi di una personalità poliedrica ed eterogenea. L’autoapertura e l’integrazione di sé nel più ampio contesto sociale viene vissuta in modo più sereno e consapevole.

In tale processo, la persona non si trova solamente a scambiare con altri l’informazione del proprio orientamento sessuale, bensì esplora e ri-definisce la relazione interpersonale in cui tale scambio avviene. Bisogna precisare che per dichiarazione del proprio orientamento si può intendere non solo quella effettuata verbalmente in modo esplicito, ma anche quella che si attua  più ambiguamente e spesso in clandestinità, specie nelle fasi iniziali di presa di coscienza ed esplorazione, poiché la sperimentazione sessuale e sentimentale di per se stessa implica l’esporsi, più o meno misurato, con comportamenti di auto-apertura. Di fatto non è possibile non comunicare, ed è interessante come ciò nel coming out avvenga in modo progressivamente più consapevole ed integrato con l’immagine che la persona ha di sé, implicando una sempre maggior responsabilità personale nei confronti degli altri rispetto a quanto si afferma.

Noi proiettiamo sul mondo esterno le opinioni che abbiamo sul nostro sé e  ciò comporta che la persona gay o lesbica, agendo in un certo modo nelle relazioni il proprio orientamento secondo l’immagine  che ne ha ricavato, influenza necessariamente il tipo di atteggiamento (e relative conseguenze) adottato dal suo ambiente. Per esempio si può prevedere che comunicazioni improntate su una serena auto-apertura abbiano effetti diversi sul suo contesto di vita rispetto ad un atteggiamento provocatorio o alla clandestinità. A questo proposito bisogna ribadire come per giungere ad un clima di relativa tolleranza, nonché alla depatologizzazione, sia stato necessario che degli omosessuali uscissero allo scoperto impegnandosi attivamente per rivendicare in modo dialettico la propria dignità, per sé ma anche ma anche a beneficio di altri, contribuendo in modo volontario e mirato alla costruzione di un contesto favorevole.

In poche parole, attraverso il coming out, la persona gay o lesbica nello stesso tempo “impara e costruisce” sé ed il proprio contesto di vita e di relazioni, per cui il coming out può essere inteso come un processo creativo sorto dalla problematicità del caso.

Pur ribadendo che il coming out è un’evoluzione che in modi diversi viene a colorare l’intera vita relazionale dell’individuo, esso è di fatto composto di molti episodi contingenti, alcuni più significativi e cruciali di altri, in cui  la persona gay si trova concretamente impegnata in un importante momento comunicativo che lo riguarda in modo rilevante.

Nel momento in cui il giovane matura consapevolezza ed ha a disposizione l’informazione della propria omosessualità si trova a percepire la discrepanza tra ciò che sa rispetto a se stesso e l’aspettativa implicita di eterosessualità con cui gli altri interagiscono con lui/lei, in famiglia ma anche negli ambiti amicali, di lavoro, studi ecc. A partire da questo momento il giovane si trova protagonista di un processo decisionale nel quale è chiamato a scegliere come gestire a livello sociale l’informazione che lo riguarda e di cui è portatore. Può optare per mantenere valida l’aspettativa di eterosessualità che, in quanto presente in modo tacito e spontaneo, non necessita di essere affrontata dialetticamente.

Oppure può decidere di far evolvere la situazione rivelando l’informazione della propria omosessualità, la quale necessariamente cambia in qualche modo l’interazione, secondo la nuova condizione che lui/lei ha posto ed evidenziato. Tale scelta implica molto spesso la necessità di compiere un confronto, talvolta impegnativo o addirittura doloroso, fino ad arrivare allo scontro, rispetto alla natura o alla legittimità del proprio orientamento sessuale, cosa  cui normalmente non sono chiamati gli eterosessuali. Lo svelamento, che spesso muove da un reale desiderio di auto-espressione, rappresenta un confronto con il resto della società ed è, spesso, il risultato di una valutazione dei costi e dei benefici: da una parte il vantaggio che se si è aperti e onesti con se stessi e con gli altri, ci si sente più liberi da conflitti e dai sentimenti di vergogna, dall’altra il vantaggio che se si mantiene la clandestinità, si possono evitare aperte discriminazioni. La decisione di dirlo o non dirlo resta, tuttavia, una questione che si pone e ripropone tutta la vita. A seconda dei contesti sociali e relazionali, la persona può “passare” per eterosessuale, può dirlo quando gli/le  viene richiesto, può dirlo quando gli altri danno per scontato che sia eterosessuale, o può dirlo intendendolo come strumento di visibilità o di rivendicazione.

 

Il coming out in famiglia può essere considerata una tappa, non obbligata, di un processo più ampio che interessa le relazioni interpersonali

L’attesa e la paura di un rifiuto pesano sulla decisione di non impegnarsi nella rivelazione in famiglia, ostacolando il coming out sul versante familiare dal momento che la condizione “clandestina” incide profondamente, a livello più o meno consapevole, sull’idea di sé e sulle scelte di vita di una persona gay. Si potrebbe anche ipotizzare come le difficoltà incontrate in questo passaggio, oltre ad avere connessioni e ripercussioni sugli investimenti sentimentali, lavorativi, ecc., sull’autostima e la cura di sé,  possano esprimersi  in risvolti psicopatologici e nella sofferenza del sistema familiare; tuttavia una simile indagine richiederebbe un più ampio spazio di approfondimento

 

Una volta esternata in famiglia, in particolar modo ad uno o ad entrambi i genitori (anche se non è infrequente che un/a giovane si sperimenti dapprima in confidenze rivolte a fratelli o amici  scelti dal gruppo dei pari) la rivelazione del proprio orientamento è mossa implicitamente per far scaturire  delle reazioni nei propri interlocutori, le quali possono rispecchiare oppure disattendere aspettative, ansie o desideri. Un genitore, volente o nolente, non può esimersi dall’inviare, verbalmente o implicitamente,  dei messaggi che rispecchiano nei contenuti atteggiamenti e valori personali e culturali, ma anche aspetti relazionali di definizione e ridefinizione del rapporto genitori-figli secondo le nuove premesse introdotte. Inoltre la qualità dell’esito, non tanto quello immediato, molto spesso dettato dalla sorpresa rispetto alla notizia ricevuta, quanto quello che si manifesta nel tempo, ha un peso specifico notevole nel sancire una valenza più o meno positiva all’immagine di sé che il giovane sta costruendo.

Le reazioni immediate più frequenti che la letteratura riporta sono quelle di shock, confusione e negazione.

Quando le premesse familiari sono improntate in maniera molto netta su modelli che stimano l’eterosessualità come orientamento preferibile o “corretto”, vuoi per ideologie, credenze religiose o forti motivazioni verso il conformismo sociale, alla rivelazione di coming out molto spesso seguono reazioni di deciso rifiuto, ribadendo l’inaccettabilità morale di una scelta omosessuale, intrinsecamente sbagliata e condannabile. Secondo un tale presupposto l’orientamento rivendicato dal figlio viene biasimato, rendendo possibile un’aperta conflittualità sul tema, la quale può anche sfociare nella rottura del legame

Tuttavia una reazione genitoriale piuttosto comune, secondo l’ esperienza di Paola Dall’Orto, (presidentessa dell’AGEDO-associazione dei genitori di omosessuali), si manifesta nel “negare” la realtà, comportandosi come se non si avesse mai ricevuto l’informazione, con manovre, spesso in buona fede e volte a proteggere il figlio, ma che squalificano e disconoscono la percezione che il giovane ha maturato su se stesso. Avviene così l’instaurarsi di un clima che molte persone gay descrivono col termine di ipocrisia, con il mantenimento nel tempo di  una tacita negazione di questo importante aspetto nel contesto della relazione familiare, che comunque viene mantenuta secondo i presupposti e le definizioni (fittizi, dopo il coming out) ritenute valide precedentemente.

Si può affermare che anche i genitori, in modo analogo ai figli, siano portati all’introiezione dei significati sociali, per cui grava anche su di loro un implicito biasimo della collettività rispetto a presunte “mancanze” come genitore di un figlio/a gay.

“cosa abbiamo fatto di male, dove abbiamo sbagliato nell’educarlo, quale vergogna dovremo e dovrà sopportare?” (Intervento di Dall’Orto alla Giornata di studio del 21 marzo 1998 sul tema “Omosessualità e adolescenza” alla Casa della Cultura di Milano).

Fortunatamente,  ciò  non provoca necessariamente la rottura o la disgregazione della famiglia, purché i suoi membri siano in grado di adattarsi ai cambiamenti, rendendosi disponibile a riesaminare le premesse in modo critico e creativo.

Questo dipende dalla disponibilità di modelli alternativi e dalla sua flessibilità. In gran parte dei casi prevale la motivazione, da tutte le parti, a reintegrare, in un modo o nell’altro, lo squilibrio venutosi a creare. Citando la Dall’Orto: “I nostri ragazzi sono profondamente legati ad essa (la famiglia) e desiderano poter vivere serenamente e in armonia con tutti i suoi membri (….) se esiste un conflitto generato dalla non accettazione della figlia o del figlio omosessuale è lì che la famiglia si può sfasciare, oppure si può vivere in eterna tensione. E d’altro canto i genitori, dopo il momento iniziale di disorientamento, shock e dispiacere, provano a re-integrare le aspettative sul figlio e di conseguenza la relazione con lui considerando, questa volta, i nuovi elementi introdotti dal coming out.

Purtroppo molte delle esperienze di attivisti come la Dell’Orto, le testimonianze di sofferenza e di disagio raccolte da internet o nella quotidianità, i fatti riportati dalla cronaca che hanno per protagonisti persone omosessuali, specialmente giovani, danno conto di famiglie, e  di contesti che mancano dell’auspicata flessibilità e per questo incapaci a sostenerne la crescita.

Come  altri genitori descrive come cruciale per un esito positivo la revisione dei pregiudizi e degli atteggiamenti, non solo a livello personale ma anche rispetto al contesto sociale, auspicando la mediazione e i contributi pluridisciplinari  di intellettuali, educatori, dei media e delle istituzioni, nonché di genitori, figli e persone comuni che con le loro esperienze e differenti punti di vista possono contribuire ad un cambiamento culturale favorevole.